08 Lug Intervento del Prof. Santino Langè
Ecclesia per decursum saeculorum artis
Thesaurus omni cura servavit (Concilio Vaticano II)
(La Chiesa, nel corso dei secoli conservò con ogni cura i tesori dell’arte)
di Santino Langé*
Ogni museo nasce non in base a schemi pre concettuali ma in base ad una sua mission, con una finalità precisa; un museo diocesano è qualcosa che cresce, si sviluppa o si immiserisce a seconda dello svilupparsi o del venir meno della sensibilità religiosa di una Diocesi. Crescerà se cresce la diocesi, subirà degli stalli a seconda dei momenti di stallo della diocesi stessa.
Sotto il profilo puramente pragmatico un Museo appartenente ad un ente religioso nasce in genere dalla necessità o dalla convenienza contingente di raccogliere opere e manufatti che non presentano più un rapporto diretto e continuativo con il “culto”; tuttavia, a di là di questa banale definizione iniziale, gli oggetti di culto dismessi dimostrano – e hanno sempre mostrato nella storia – una serie di complesse potenzialità e sfaccettature che vanno ben oltre dal configurarsi come residui o giacimenti di avvenimenti passati ma di possedere in ogni caso un ruolo formativo e di catechesi che non si limita alla sopravvivenza dei caratteri artistici o artigianali.
Inoltre possiamo iniziare ad affermare – come si vedrà in esteso più avanti – che un Museo che custodisce le tracce e la memoria della vita religiosa e della liturgia di una comunità non può limitarsi a prendere in considerazione solo il complesso degli oggetti esposti (sculture, dipinti, oreficeria, tessuti e così via) ma chiede di essere il centro nel quale tutta la storia di un popolo viene fatta rivivere – con opportuni strumenti – sotto i suoi aspetti delle relazioni spaziali e territoriali: dagli insediamenti, alle pievi e parrocchie, agli edifici religiosi, alle comunicazioni e quindi sotto l’aspetto dello spessore culturale dell’ambiente che oggi definiamo “paesaggio”, così come è recepito anche nel “Codice dei Beni culturale e del Paesaggio”, legge n. 308 dello Stato Italiano.
La materia da trattare è complessa, poiché nelle considerazioni in essa si sovrappongono – per quanto riguarda la tradizione cristiana e in particolare il magistero della Chiesa Cattolica – almeno tre ordini di problemi: il primo – concettualmente – è quello concernente le caratteristiche e le qualità del “manufatto d’arte” pensato e prodotto in funzione del culto, che sinteticamente può essere definito il “carattere dell’arte sacra”; il secondo riguarda il rapporto tra la creazione di oggetti d’arte sacra con l’edificazione e la crescita della comunità di fedeli (pastorale); il terzo infine riguarda la conservazione di tutte le esperienze della “arte sacra” del passato come giacimenti storici dei quale le strutture ecclesiastiche si fanno garanti delle opportuna conservazione e dell’approfondimento della conoscenza indirizzata sia ai fedeli sia all’intera umanità.
Il concetto moderno di autonomia dell’arte ha fatto sì che il contenuto religioso o meno diventasse secondario, come fatto risultante da sviluppi socio-economici della società e quindi oggetto di attenzione di scienze della sfera pratica come l’economia, l’antropologia etc.
Questa lettura ha dato vita – soprattutto nella cultura post-illuminista – ad una separazione tra la “sfera” della creatività artistica di contro alla finalità propriamente religiosa, la cui conseguenza fu un’attribuzione da un lato di “senso religioso”, legata agli aspetti devozionali ed una di “valore artistico” legata agli schemi figurativi, variamente messi in evidenza dalle teoriche coltivate da scuole, movimenti, avanguardie nei diversi settori delle arti e dell’artigianato.
La cultura cattolica, per rispondere a questi quesiti, ampliò la tematica dell’immagine in una, completamente rinnovata, riproposizione della nozione di “liturgia”.
L’intenzione nell’uso del termine “liturgia” è stata quella di individuare una posizione sintetica, capace da un lato di legare la sfera della devozione privata e personale con quella del culto pubblico e sacramentale, così come appare quale “leit-motiv” di fondo nel saggio su “Lo spirito della liturgia” di Romani Guardini, del 1918.
L’attenzione per la liturgia ha privilegiato sopra ogni cosa, nella vita della Chiesa, il momento di comunicazione e scambio (al presente e al passato) tra i fedeli riuniti come “ecclesia” e tra l’ecclesia e Dio, in un rapporto di reciproca donazione.
Se il carattere quindi di ogni azione liturgica è lo scambio a partire dall’intenzione del comunicare (nella sua perfezione o imperfezione) la categoria dell’estetico – così come è stata elaborata soprattutto a partire dal Settecento – non risulta così importante e decisiva per definire un metro di giudizio per la fruibilità e tutela/conservazione dei cosiddetti prodotti dell’arte appartenente alla dimensione liturgica, ma sono più utili altri percorsi analitici imperniati sulle dimensioni del “comunicare” e del “testimoniare”.
*Professore emerito di Restauro Architettonico e Storia dell’Architettura